Dalla tarantella al ballo sul tamburo: viaggio nelle danze popolari italiane

L’Italia vanta un mosaico coreutico che riflette la pluralità linguistica e culturale del territorio.
La tarantella pugliese nasce come rito curativo contro il morso della mitica tarantola: la donna “pizzicata” ballava per ore, guidata dal tamburello, fino a espellere il veleno simbolico.
Oggi il Festival La Notte della Taranta attira 200 000 spettatori nel Salento, unendo pizzica e rock progressivo.
Salendo in Campania, il ballo sul tamburo agro-nocerino-sarnese si distingue per figure in coppia e uso di nacchere in legno.
Anticamente danzato durante le “tammorre” di Montemarano, oggi si studia nei conservatori di musica popolare.
Esperti come Mimmo Epifani insegnano come il passo “tric-trac” influenzi la postura del busto, riattivando muscoli paraspinali: utile anche in corsi di fisioterapia.
In Sardegna, il ballu tundu si esegue in cerchio, con uomini e donne che avanzano in senso antiorario: un simbolo di coesione comunitaria.
Nei workshop di turismo esperienziale, i visitatori apprendono la danza prima di partecipare alla Sagra del Redentore a Nuoro, creando un ponte culturale che sostiene l’economia locale.
Le coreografie popolari non sono statiche.
Progetti come Taranta 3.0 di Roberto Olivan mescolano pizzica, danza contemporanea e parkour urbano, dimostrando che il folclore è materia viva.
In scuole milanesi, la pizzica viene inserita in classi di world dance fitness, con playlist che affiancano Offida Records a Calvin Harris.
Il filone accademico cresce: università di Bologna e Lumsa organizzano master in etnomusicologia e coreutica tradizionale, formando esperti in catalogazione dei passi e salvaguardia UNESCO.
Intanto, su TikTok l’hashtag #folkloretok supera i 500 milioni di visual, portando ragazzi ventenni a riscoprire i balli dei nonni.
Il futuro? AI e motion capture potrebbero archiviare varianti locali, mentre tour organizzati legano workshop di danza, degustazioni di vini DOCG e visite a borghi storici, trasformando il patrimonio immateriale in volano di sviluppo sostenibile.
Ballare la tradizione, dunque, non è nostalgia, ma risorsa dinamica per l’identità e l’economia del territorio.